La detasszione degli investimenti ambientali in Italia (Fonte:http://rivista.ssef.it - 2004)

 

Fonte:

http://rivista.ssef.it/site.php?page=20040831110805166&edition=2010-02-01#_edn1

Fonte: Rivista della Scuola Superiore dell'Economia e delle Finanze

La detassazione degli investimenti ambientali in Italia

Sommario:  1. Introduzione – 2. Gli investimenti ambientali – 3. L’approccio incrementale – 4. La detassazione del reddito – 5. La detassazione ambientale nella dichiarazione dei redditi (Unico 2004) –  6. La disposizione antielusiva –  7. Considerazioni conclusive

 

1. Introduzione

La tutela dell'ambiente[1] rappresenta un percorso politico obbligato la cui concreta attuazione presenta sovente caratteri di significativa complessità. Al riguardo non vanno infatti trascurate le limitate risorse destinate al "bene di tutti" ed i delicati equilibri sociali, economici e politici che sottendono alle scelte di valore in materia ambientale.

Le politiche di tutela ambientale si alimentano sia attraverso il ricorso a meccanismi tradizionali di tipo dirigistico e centralizzato che con l'utilizzo di nuovi strumenti, basati su incentivi economici a favore delle imprese “virtuose”[2]. Questi ultimi realizzano una struttura di incentivi che anziché limitare direttamente le imprese, le incoraggia ad “allineare” il proprio comportamento all’interno di steccati che tendenzialmente inducono gli operatori economici ad un minor danno ambientale. Al riguardo, è il caso di sottolineare che alcuni di tali strumenti  prevedono premi alle imprese che riducono in modo più efficiente il livello di inquinamento mentre nello stesso ambito possono essere collocate le politiche di segno opposto, volte a penalizzare economicamente le attività dannose per l’ambiente.

In tale contesto si inserisce la disciplina recata dall'art. 6 L. 23 dicembre 2000 n. 388, che ha inteso introdurre una disposizione di natura fiscale finalizzata ad imprimere un significato ed una valenza economica di tipo premiale a quelle iniziative, realizzate nell'ambito dell'attività imprenditoriale, che determinano un impatto positivo sull'ambiente, contemplando in particolare, la detassazione del reddito per le piccole e medie imprese che realizzano investimenti c.d. ambientali.

 

2. Gli investimenti ambientali

La detassazione in esame spetta alle piccole e medie imprese che esercitano, in regime di contabilità ordinaria[3], le attività di cui all'art. 55 del Tuir[4] ed effettuano nel periodo d’imposta investimenti ambientali. Con quest'ultimo termine si intende il costo di acquisto delle immobilizzazioni materiali, di cui all’art. 2424, primo comma, lettera b), n. II, cod. civ., che deve risultare finalizzato alla prevenzione, riduzione o riparazione dei danni causati all'ambiente derivanti dallo svolgimento dell’attività di impresa. Nel dettaglio rileva l'acquisto dei seguenti beni, presenti nell'attivo dello stato patrimoniale:

1. terreni o fabbricati;

2. impianti e macchinari;

3. attrezzature industriali e commerciali;

4. altri beni;

5. immobilizzazioni in corso e acconti.

Inoltre, ai sensi del comma 15 dell’art. 6 L. n. 388 del 2000, sono in ogni caso esclusi gli investimenti ambientali realizzati in attuazione di specifici obblighi di legge[5].

Gli investimenti devono essere rappresentati in bilancio separatamente dagli altri beni e risultano esclusi dall'agevolazione gli eventuali costi che non determinano l'acquisto del bene, come ad esempio la locazione o la concessione in uso del bene[6].

Inoltre, è il caso di segnalare che l’Agenzia delle Entrate ha confermato la possibilità di  dedurre le quote di ammortamento relative ai beni oggetto degli investimenti ambientali[7].

 

3. L’approccio incrementale

Il comma 15 dell’art. 6 L. n. 388 del 2000 dispone che gli investimenti ambientali devono essere calcolati con l’approccio incrementale e a tale riguardo l’Agenzia delle Entrate[8] ha ritenuto applicabile il principio contenuto nella “Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell’ambiente”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. C/37 del 3 febbraio 2001, precisando che i benefici in esame sono “rigorosamente limitati ai costi d’investimento supplementari (“sovraccosti”) necessari per conseguire gli obiettivi di tutela ambientale”. Nel merito dell’interpello l’Agenzia ha peraltro ritenuto corrette le modalità di determinazione del costo dell’investimento ambientale rilevante ai fini dell’agevolazione prospettate dal contribuente istante. Quest’ultimo aveva ritenuto di poter detassare il reddito in misura pari alla differenza tra il costo di acquisto del macchinario oggetto dell’agevolazione (ambientale) e un importo dato dalla somma del costo di acquisto di un macchinario similare (non ambientale) e dei costi di produzione risparmiati per effetto della maggiore produttività conseguente a tale investimento.

Su quest’ultimo punto è bene soffermarsi poiché con riferimento al costo dell'investimento ambientale realizzato il contribuente è chiamato ad individuare i vantaggi economici ottenuti, valutati in termini di aumento di capacità produttiva, di risparmi di spesa e di produzioni accessorie aggiuntive. Ciò al fine di comprimere l’importo effettivamente detassabile. Solo qualora gli investimenti in esame riguardino esclusivamente la tutela ambientale, senza dar luogo ad altri vantaggi economici, non risultano applicabili riduzioni supplementari.

 

4. La detassazione del reddito

Per i primi due anni di applicazione della disciplina in esame[9] l'agevolazione rilevava per l'intero importo degli investimenti ambientali realizzati nel corso del periodo d'imposta (calcolati con l’”approccio incrementale”), mentre, a partire dal periodo d'imposta in corso al primo gennaio 2003, per effetto del comma 19 del citato art. 6 della legge n. 388 del 2000, risulta agevolabile esclusivamente l'eccedenza degli investimenti ambientali effettuati nel periodo d’imposta rispetto alla media degli stessi investimenti realizzati nei due periodi d’imposta precedenti. In ogni caso per l’individuazione dell’importo detassabile si applica il descritto “approccio incrementale”. 

Con riferimento al periodo d’imposta 2003 (Unico 2004), si prenda in considerazione l’esempio di tab. n. 1[10]:

 

Tab. n. 1

 

- investimenti ambientali realizzati nel periodo d’imposta 2001: 1.000 Euro

- investimenti ambientali realizzati nel periodo d’imposta 2002: 3.000 Euro

- investimenti ambientali realizzati nel periodo d’imposta 2003: 3.000 Euro

 

In tal caso gli investimenti agevolabili corrispondono all’importo di 1.000 Euro, dato dalla differenza tra gli investimenti dell’anno 2003 (= 3.000 Euro) e la media degli investimenti dei due anni precedenti (1.000 + 3.000 : 2 = 2.000 Euro).

 

5. La detassazione ambientale nella dichiarazione dei redditi (Unico 2004)

L’agevolazione in commento si traduce in una variazione in diminuzione  del reddito di impresa da assoggettare a tassazione nel periodo d’imposta in cui si realizzano le condizioni previste dall’art. 6 della legge n. 388 del 2000. A tal fine, nel quadro RF   della dichiarazione dei redditi Unico 2004 SC[11], il contribuente risulta obbligato alla compilazione del rigo RF49, colonne 2 e 3, mentre il totale riportato in colonna 4 del rigo RF49 accoglie, oltre alla detassazione c.d. per investimenti ambientali, anche altre agevolazioni, tra le quali risulta evidenziata distintamente (in colonna 1) la c.d. agevolazione Tremonti-bis[12]. Al riguardo l’Agenzia delle Entrate[13] ha peraltro rilevato l’insussistenza di elementi di incompatibilità tra le due agevolazioni in esame, precisando al contempo che in ogni caso l’ammontare cumulato dei benefici non può essere superiore al costo dell’investimento agevolato.

Con riferimento all’esempio esposto nella tab. n. 1, verifichiamo le modalità di  compilazione del rigo RF49:

Il contribuente provvederà ad indicare in colonna 2 del rigo RF49 l’importo di Euro 1.000, mentre in colonna 3 indicherà il codice numero 3, per segnalare all’Amministrazione finanziaria che ha fruito dell’agevolazione in commento in ambedue i periodi d’imposta precedenti a quello cui si riferisce la dichiarazione (anno 2003)[14]. Ipotizzando che con riferimento al medesimo periodo d’imposta il contribuente non fruisca delle altre agevolazioni contemplate al rigo RF49, l’importo corrispondente alla detassazione per investimenti ambientali (nell’esempio, 1.000 Euro), sarà riportato anche in colonna 4 (ved. tab. n. 2) rettificando in tale misura il reddito d’impresa dichiarato.

 

Tab.n. 2

 

                                                   1                        2               3          4             

RIGO RF49   Reddito esente

                           -

                 1.000

        3

           1.000

 

Nel caso in cui gli investimenti siano stati effettuati per la prima volta nel periodo d’imposta cui fa riferimento la dichiarazione dei redditi Unico 2004, il contribuente non dovrà indicare alcun codice e gli investimenti ambientali effettuati nel corso del 2003 rileveranno ai fini della detassazione per l’intero importo[15].

 

6. La disposizione antielusiva

Sulla scorta di una consolidata prassi legata alle agevolazioni connesse alla effettuazione di investimenti o alla determinazione di specifici “comportamenti” da parte del contribuente, anche l’art. 6 L. n. 388 del 2000 reca, al comma 14, una  specifica disposizione antielusiva volta al recupero dell'importo agevolato in quei casi in cui i beni oggetto degli investimenti ambientali risultino oggetto di successiva dismissione. In particolare tale disposizione trova applicazione allorquando i citati beni "sono ceduti entro il secondo periodo d'imposta successivo a quello in cui gli investimenti ambientali sono effettuati". In tal caso la norma in commento dispone che "il reddito escluso dall'imposizione si determina diminuendo l'ammontare degli investimenti ambientali di un importo pari alla differenza tra i corrispettivi derivanti dalle predette cessioni e i costi sostenuti nello stesso periodo d'imposta per la realizzazione degli investimenti ambientali”. A quest'ultimo riguardo corre l'obbligo di sottolineare che il dato letterale della norma lascia libero campo ad interpretazioni poco probabili. Con la Circolare 3 gennaio 2001 n. 1, l'Agenzia delle Entrate ha, tra le altre cose, prospettato al riguardo una soluzione interpretativa, illustrata attraverso la seguente esemplificazione (riportata nella tab. n. 3):

 

 

Tab. n. 3

-                    costo di acquisto delle immobilizzazioni materiali costituenti investimenti ambientali nel periodo di imposta 2001: lire 1.000.000;

-                    corrispettivi derivanti dalla cessione (avvenuta nel periodo di imposta 2002) delle predette immobilizzazioni materiali: lire 800.000;

-                    costo di acquisto delle immobilizzazioni materiali costituenti investimenti ambientali nel periodo di imposta 2002: lire 2.000.000.

 

In tal caso, in base all'interpretazione fornita dall'Agenzia delle Entrate, il reddito non assoggettato ad imposizione a seguito della fruizione dell’agevolazione per investimenti ambientali nel periodo di imposta 2002 corrisponderebbe a lire 2.000.000 - (800.000 - 1.000.000) = 1.800.000[16]. Fermo restando che tale esemplificazione si limita ad applicare letteralmente la normativa in commento, ne deriverebbe che a fronte di investimenti pari a lire 1.000.000 (nel 2001), recuperati, a seguito di cessione (nel 2002), per un importo pari a lire 800.000, si debba invece lasciare sul campo solo lire 200.000[17]. Peraltro, al riguardo le istruzioni alla dichiarazione dei redditi Unico 2004 prevedono una variazione in aumento[18] utile all'indicazione degli importi ripresi a tassazione dal contribuente che realizza le condizioni contemplate dal comma 14 dell'art. 6, legge n. 388 del 2000.

Permangono quindi significative incertezze interpretative, il tutto senza far cenno alle ulteriori complicazioni connesse alla nuova modalità di determinazione della detassazione, che a partire dal periodo d'imposta in corso al 1° gennaio 2003, prevede esclusivamente  la rilevanza dell'importo degli investimenti che eccede la media degli investimenti realizzati nei due anni precedenti[19].

 

7. Considerazioni conclusive

E’ il caso innanzi tutto di segnalare la presenza di un ulteriore onere procedimentale per le imprese che intendono fruire degli incentivi connessi agli investimenti ambientali. Ai sensi del novellato[20] comma 17 del cit. art. 6 in esame, le imprese interessate dall’agevolazione risultano infatti obbligate a comunicare, entro un mese dall’approvazione del bilancio annuale, gli investimenti agevolati. Il Ministero delle attività produttive, di intesa con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, effettua entro il 31 dicembre 2003, con riferimento al bilancio 2002, e successivamente ogni anno, il censimento dei predetti investimenti ambientali. Sul capo delle imprese beneficiarie  incombe quindi un ulteriore obbligo procedimentale.

Inoltre, nel corso dell’esposizione sono state evidenziate le incertezze interpretative connesse alle effettive modalità di applicazione della disciplina antielusiva prevista dal comma 14 dell’art. 6 L. n. 388 del 2000. A queste ultime si aggiungono le non irrilevanti implicazioni operative conseguenti all’adozione del c.d. “approccio incrementale”. Con riferimento, ad esempio, alla società istante dell’interpello oggetto della Risoluzione n. 226, esercente attività di ossidazione e laccatura di alluminio, interessata all’acquisto della piena proprietà di una nuova cabina di verniciatura automatica a polvere, in sostituzione di un'altra funzionante, allo scopo di ottenere un aumento di produttività e un minore impatto ambientale in termini di produzioni di polveri da vernici di scarto da smaltire, di minori emissioni atmosferiche, nonchè di miglioramento dell'ambiente di lavoro per i prestatori d'opera, potrebbero presentarsi una serie di problematiche operative di non facile risoluzione. E ciò sia con riferimento all’effettiva connotazione ambientale dell’investimento[21] ma anche e con particolare riferimento all’individuazione sostanziale dei soli “sovraccosti” necessari ai fini della tutela ambientale[22], teoricamente separabili da quelli che determinano vantaggi economici ottenuti in termini di capacità produttiva, di risparmi di spesa ed in termini produzioni accessorie aggiuntive[23]

In estrema sintesi, le incertezze interpretative, il ferragginoso meccanismo applicativo nonché la "stretta" prevista a decorrere dal terzo anno di applicazione della disciplina in commento (2003) costituiscono "fattori" che tendenzialmente scoraggiano i possibili fruitori[24] dell'incentivo, vanificandone in ultima istanza l'efficacia in termini di impatto ambientale. 

 

 

Antonio Mastroberti

Funzionario Agenzia dell’Entrate

 

 

 


[1] Principio universalmente condiviso nonché costituzionalmente tutelato dall'art. 9 Cost.

[2] Vedasi “I sistemi di incentivazione ambientale: una prospettiva internazionale” di Pasquale L. Scandizzo e Carmela Notaro, Università di Roma Tor Vergata, in atti del Seminario sull’integrazione ambientale nei regimi d’aiuto alle imprese, del 12 luglio 2004 “Invece di tentare di eguagliare il livello di inquinamento tra le imprese imponendo un unico standard, lo strumento degli incentivi cerca di eguagliare il costo marginale di abbattimento per le imprese. Lo strumento degli incentivi economici, in particolare, incoraggia il comportamento delle imprese attraverso segnali di prezzo piuttosto che su strumenti espliciti di controllo del livello di inquinamento. Gli strumenti di controllo dell’inquinamento basati su incentivi economici offrono, dunque, numerosi vantaggi rispetto alle forme tradizionali. Essi infatti sono meno intrusivi, non contrastano con il perseguimento degli obiettivi delle imprese, tengono conto dell’eterogeneità delle caratteristiche e dei comportamenti degli operatori economici e, se correttamente definiti e applicati, permettono di raggiungere il livello di disinquinamento desiderato con il minimo costo globale per la società ”.

[3] Tale interpretazione è stata fornita con la Circolare 3 gennaio 2001 n. 1 dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui, in base al combinato disposto dei commi 13 e 16 dell'art. 6, “possono avvalersi dell'agevolazione per investimenti ambientali i soggetti titolari di reddito di impresa (piccola o media) che determinano il reddito in contabilità ordinaria”. Si sottolinea a tale proposito che l'interpretazione in commento poggia sulla disposizione del comma 16 dell’art. 6 (legge 388) secondo la quale, a decorrere dal 1° gennaio 2001 le imprese interessate sono tenute a rappresentare nel bilancio di esercizio gli investimenti ambientali realizzati.

Inoltre, l’Agenzia delle Entrate nella medesima occasione ha ricordato che con Decreto 18 settembre 1997 il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato ha definito piccola e media quell'impresa che:

- ha meno di 250 dipendenti;

- ha un fatturato annuo non superiore a 40 milioni di ECU, oppure un totale in bilancio annuo non superiore a 27 milioni di ECU;

- è in possesso del requisito di indipendenza.

[4] Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), come modificato dal D.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 (in vigore dal 1° gennaio 2004) di attuazione della c.d. riforma IRES.

[5] Con la cit. Circolare 3 gennaio 2001, n. 1, l’Agenzia delle Entrate evidenzia altresì a tale proposito, gli investimenti di bonifica ambientale realizzati in attuazione di obblighi di legge.

[6] Ved.  Circolare 3 gennaio 2001  n. 1, cit. a nt. 3, che precede.

[7] Ved. in proposito  la Risoluzione 11 luglio 2002 n. 226 della Direzione centrale normativa e contenzioso (risposta ad un interpello ai sensi dell’art. 11 L. 27 luglio 2000 n. 212).

[8] Ved.  Risoluzione 11 luglio 2002  n. 226, cit. a nt. 7, che precede.

[9] Per i soggetti con periodo d'imposta coincidente con l'anno solare, il 2001 ed il 2002.

[10] Per esigenze di semplificazione gli importi risultano già nettizzati a seguito dell’adozione del c.d. “approccio incrementale”.

[11] Per comodità espositiva nell’esemplificazione faremo riferimento unicamente alla dichiarazione dei redditi Unico 2004 SC (per esempio, nel caso di una Società per Azioni residente nel nostro Paese), evidenziando al contempo che tale agevolazione è presente anche negli altri modelli di dichiarazione (ENC, SP, PF).

[12] Le disposizioni di proroga della c.d. Tremonti-bis sono riconducibili  ad accadimenti di natura eccezionale (eventi calamitosi o sismici), previsti specificamente con l’articolo 5-sexies D.L. 24 dicembre 2002 n. 282, convertito, con modificazioni, dalla L.  21 febbraio 2003 n. 27 e con l’articolo 5-ter  D.L. 24 giugno 2003 n. 147, convertito,con modificazioni, dalla L. 1 agosto 2003 n. 200 (v. Ris. n. 67/2003 e Circ. n. 43/2003, Agenzia delle Entrate).

In relazione alle disposizioni di cui all’art. 5-sexies  D.L 24 dicembre 2002 n. 282, convertito dalla L.  21 febbraio 2003 n. 27 è in corso una procedura di infrazione disposta dalla Commissione Europea. La citata  proroga costituirebbe aiuto ai sensi dell’art. 87, paragrafo 1, del trattato CE ed al fine di verificare la compatibilità dell’aiuto con il mercato comune è stato avviato il procedimento di cui all’art. 88, paragrafo 2 del medesimo trattato. Con lettera pubblicata sulla G.U. dell’Unione Europea n. C 42/5, la Commissione ha richiamato l’attenzione sull’effetto sospensivo dell’art. 88, paragrafo 3 del Trattato CE ed ha ricordato che in caso di aiuto illegittimo dovrà farsi luogo al recupero presso il beneficiario dell’aiuto fruito.              

[13]  Ved.  Risoluzione n. 226 del 11 luglio 2002, cit. a nt. 7, che precede.

[14] Per esigenze di completezza, aggiungiamo che il codice 1 o il codice 2 indicano che gli investimenti sono stati effettuati, rispettivamente, solo nel primo o solo nel secondo periodo d’imposta precedente a quello in corso al 1° gennaio 2003 (2001 o 2002).

[15] In tal caso infatti la media degli investimenti realizzati nei due anni precedenti corrisponde a zero e gli investimenti ambientali (considerati sempre con l’”approccio incrementale”, risultano completamente eccedenti.

[16] Si noti che il risultato dell'operazione è algebricamente incongruente.

[17] Detassando nel periodo d’imposta 2002 l’importo di lire 1.800.000 anziché quello di lire 2.000.000, si “recupera” in sostanza solo l’importo di lire 200.000. Non si può peraltro prescindere in questa sede dal fornire un piccolo contributo alla vicenda, posto che nell'esempio esposto in tabella 3, la logica spingerebbe a recuperare  il corrispettivo di quanto si è ceduto in rapporto a quanto precedentemente è stato fruito (che è poi il meccanismo applicato ad esempio per la detassazione c.d. Tremonti-bis). Tornando all'esemplificazione esposta nella tab. n. 3, andrebbe in buona sostanza recuperato l'importo di 800.000 lire e non quello di 200.000 lire e l'importo complessivamente detassato nel periodo d’imposta 2002  corrisponderebbe alfine a lire 1.200.000 ( = 2.000.000 - 800.000).

[18] Nelle istruzioni di Unico 2004 SC le somme "recuperate" a tassazione per effetto della cessione dei beni oggetto degli investimenti ambientali sono collocate nel rigo RF33 (altre variazioni in aumento): la quota di reddito delle piccole e medie imprese destinata a investimenti ambientali, di cui all’art. 6 della legge n. 388 del 2000, che non ha concorso nei due periodi d’imposta precedenti a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito, qualora i beni oggetto di tali investimenti siano stati ceduti nel presente periodo d’imposta”.

[19] L’art. 6, comma 14 della legge n. 388 del 2000, recante la commentata disciplina antielusiva, anziché disporre il recupero “sic et simpliciter” degli importi successivamente descritti, dispone che tali somme vanno ad incidere (in diminuzione) sull’ammontare degli investimenti ambientali dell’anno per cui il contribuente potrebbe domandarsi se è tenuto al recupero delle stesse anche allorquando per esempio non abbia realizzato tali investimenti nell’anno. Anche in tal caso un interpretazione sistematica della normativa in esame dovrebbe far propendere per la ripresa a tassazione delle somme conseguenti alla cessione (e cioè, a prescindere dalla circostanza che l'importo detassato nel periodo d'imposta sia capiente o meno).

[20] Per effetto dell’art. 30 L. 31 luglio 2002 n. 179.

[21] L’Agenzia delle Entrate sembra essere cosciente di tali difficoltà applicative. Nella Risoluzione n. 226, cit. a nt. 7, che precede, si afferma che “E' quanto mai opportuno, tuttavia, che le caratteristiche tecniche dei beni oggetto d'investimento, tanto con riferimento alla loro capacità di ridurre l'impatto ambientale quanto di generare futuri risparmi di spesa, siano certificate da soggetti preposti a tale scopo con la specifica menzione che gli stessi sono necessari per prevenire, ridurre e riparare danni causati all'ambiente e che non trattasi di investimenti realizzati in attuazione di obblighi di legge”. Rileviamo che sul punto non sussiste però alcun obbligo di legge per il contribuente.

[22] A tal fine potrebbero soccorrere, secondo l’Agenzia, un criteri oggettivi come il confronto col costo di un investimento analogo sotto il profilo tecnico ma che non consenta di raggiungere lo stesso grado di tutela ambientale (ved. Risoluzione n. 226, cit. a nt. 7, che precede). Potremmo aggiungere, ovviamente, qualora tale confronto risulti praticabile.

[23]  E si pensi, oltre agli adempimenti (spontanei) del contribuente, anche alle successive fasi di controllo.

[24] Si consideri le piccole imprese, costrette in teoria ad una serie di oneri aggiuntivi che potrebbero rivelarsi dal punto di vista amministrativo eccessivi a fronte del reale "beneficio" in termini di risparmio d'imposta conseguito per effetto degli investimenti ambientali.