L’ok alla deduzione dei compensi  solo dallo statuto o dall’assemblea
La delibera del bilancio non sostituisce quella necessaria a ratificare i corrispettivi. Irrilevante anche la regolare tassazione delle somme da parte dei beneficiari
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I compensi degli amministratori sono deducibili dal reddito d’impresa solo nel caso in cui siano previsti nello statuto o deliberati dall’assemblea dei soci.
In assenza, venendo meno i requisiti di certezza e di inerenza, il beneficio fiscale non può essere ammesso, a nulla valendo che l’assemblea abbia comunque approvato il bilancio d’esercizio, in cui i compensi erano contabilizzati, né che l’amministratore abbia regolarmente tassato le somme percepite.
Questi i principi della sentenza 17673 della Cassazione del 19 luglio 2013.
 
Il fatto
La vicenda trae origine dal ricorso di una società di capitali avverso l’avviso di accertamento emesso dal competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate, avente a oggetto la ripresa a tassazione dei costi relativi ai compensi erogati a favore dell’amministratore.
La rettifica era stata operata a seguito della constatazione dell’assenza della previsione statutaria e di una specifica delibera assembleare che determinasse il compenso spettante agli amministratori.
 
Il ricorso trovava accoglimento in appello. In questa sede, i giudici di merito avevano ritenuto comunque deducibili i corrispettivi, sul presupposto che la mancata previsione del compenso non aveva causato un danno all’erario, avendo l’amministratore assoggettato a regolare tassazione il reddito percepito; inoltre, il disconoscimento fiscale del costo avrebbe determinato una doppia tassazione del medesimo reddito.
 
Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorreva per cassazione, eccependo che la deducibilità del costo relativo al compenso poteva essere fiscalmente dedotto solo in presenza della prova circa la preventiva determinazione delle somme in argomento, ossia attraverso la verifica della previsione all’interno dello statuto o della specifica delibera assembleare.
Accogliendo le doglianze dell’ufficio finanziario, i giudici della Suprema corte hanno accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata.
 
La decisione
La Corte di cassazione prende una posizione netta sul tema della deducibilità delle somme erogate dalla società quali compensi agli amministratori.
Sul tema, i giudici precisano che l’attività di amministratore di società è compresa tra “i rapporti aventi per oggetto la prestazione di attività che, pur avendo contenuto intrinsecamente professionale, sono svolte senza vincolo di subordinazione in favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita”.
 
In merito alla determinazione della misura del compenso, l’articolo 2389 del codice civile sancisce che le somme spettanti ai membri del consiglio di amministrazione sono stabilite “all'atto della nomina o dall'assemblea”.
Se ne deduce, pertanto, che il diritto alla remunerazione dei compensi degli amministratori delle società di capitali sorge, se non stabilito già nello statuto societario, esclusivamente in forza di una specifica delibera societaria.
La delibera di approvazione del bilancio non può sanare l’assenza di tali presupposti, “attesa la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle società dettata anche nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica, oltre che dalla previsione, come delitto, della percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea”.
 
Pertanto, la delibera per la determinazione del compenso non può considerarsi implicita in quella per approvazione del bilancio, ad eccezione del caso in cui l’assemblea, convocata in forma totalitaria, non abbia discusso e approvato la proposta di definizione dei compensi spettanti agli amministratori.
Infatti, l’approvazione del bilancio, documento all’interno del quale è contabilizzata la posta di cui si parla, non può fungere da strumento per la ratifica dei compensi stessi, né tantomeno per il riconoscimento dal punto di vista fiscale ai fini della deducibilità del relativo costo: ciò, in quanto l’approvazione del bilancio ha una semplice funzione di accertamento della regolarità della rappresentazione contabile del consuntivo annuo.
 
Sull’argomento, la Corte di cassazione si era già espressa con la sentenza 21933/2008, dichiarando che “la violazione dell’articolo 2389 c.c., sul piano civilistico, dà luogo a nullità degli atti di autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori per violazione di norma imperativa, nullità che, per il principio stabilito dall’articolo 1423 c.c., non è suscettibile di convalida, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente”.
Emiliano Marvulli
pubblicato Martedì 6 Agosto 2013